Supereroi 

La mia nonna si chiama Linda e ha 83 anni.

La mia nonna aveva un papà ciabattino e una mamma di buona famiglia, che lasciò tutto per sposarlo.

La mia nonna si ricorda di quando nacque sua sorella Aurora, che morì qualche mese dopo. Si ricorda anche di quando il papà la portò a salutare la mamma che stava morendo.

La mia nonna è stata mandata in collegio, non come allieva, ma come sguattera. Spesso racconta dei catini pieni di acqua rossa, in cui lavava le pezze sporche del mestruo delle suore.

La mia nonna ha vissuto la guerra, però era piccola e non la ricorda bene. In compenso ricorda la fame.

La mia nonna ha passato la giovinezza a casa del fratello maggiore più grande di 10 anni, che dopo essere stato liberato dalla prigionia dagli americani, lasciò moglie e figli per andare a lavorare in Germania dopo la guerra.

La mia nonna ha lavorato come operaia in una fabbrica di proiettili. Una volta ne esplose uno e ha ancora la cicatrice sul braccio.

La mia nonna aveva gambe così belle che il ragioniere della fabbrica di proiettili si innamorò di lei e se la sposò. Si amarono molto, anche se lui aveva un carattere difficile e prono all’ipocondria e alla depressione. Tuttavia non le ha mai fatto mancare nulla di quanto fosse nelle sue possibilità. 

La mia nonna ha accudito due figli e un cane. Poi i figli della sua migliore amica. Poi noi nipoti. La chiave del suo successo nell’allevare creature sta nel rispetto del “Sistema”.

La mia nonna ha visto sua figlia distruggersi di cibo e di depressione per un amore finito. Poi, quando è stato il momento, ha perdonato chi aveva fatto tutto quel male ed ha continuato a trattarlo come un figlio.

La mia nonna ha avuto un cancro al colon.

La mia nonna ha visto morire sua figlia di cancro al colon.

La mia nonna ha visto suo marito suicidarsi per il dolore di aver perso sua figlia.

La mia nonna si è accollata l’onere di tirar su due nipoti adolescenti.

La mia nonna tre settimane fa si è operata per un tumore al seno. Ha ancora il tubo del drenaggio attaccato, con un sacchetto infilato in una borsetta che tiene a tracolla.

La mia nonna stamattina si è incazzata, perché il bar sotto casa aveva finito i cornetti a crema per farmi fare colazione.

25 09 2016

Ci sto provando, lo giuro.

Andare oltre. Il pensiero è sempre lì, ma vado oltre.

Anche perché “lì” non c’è più. Forse non c’è mai stato. Era una costruzione di bugie e troppa pazienza.

Mi resta un “non hai mai creato un problema, non hai mai fatto pesare nulla” che sa di beffa e bile. Non riesco a togliermelo dalla testa. Mi dà serenità e mi fa incazzare insieme. 

La capacità di trasformare un pregio in difetto. 

Ci sto provando, lo giuro.

Sono goffa. Nei movimenti e nei sentimenti. Una vita da timida che cerco di scrollarmi di dosso, diventando insopportabilmente invadente, inutilmente sfacciata.

Risultato: giochino divertente per un po’, poi messo da parte per noia, per paura che possa creare problemi, che possa crearmi illusioni e aspettative.

“Non hai mai creato un problema.”

Paradosso.

Mi annoio in fretta di tutto. Quel che non mi annoia, mi fa sentire sbagliata, fuori luogo, ignorata. 

Rientrare nella parte di quella invisibile è più faticoso di quanto pensassi. 

Leggo molto. “Era un funanbolo con se stessa, fondamenta con il resto del mondo”. Non credo che saprei dare una descrizione migliore di me.

Qualche tempo fa ho scritto “siccome non mi piace vedere le persone che mi sono simpatiche tristi, ti racconto una storia”. Si vede che non era una storia abbastanza bella. Ed è rimasta lì, sola, persa nel silenzio. Pure lei.

Ci sto provando, lo giuro. Ma non è facile, soprattutto in questi giorni. Ché i ricordi mi prendono a pugni il cervello, e le alternative sono solo acquerelli pallidi disegnati a suon di “facciamo che” non corrisposti.

Sono ossessionata dalle immagini. Faccio foto di tutto. Faccio troppe foto anche di me. Perché non c’è nessuno a guardarmi e voglio ricordarmi. Un esibizionismo infantile e disincantato. Mi riempio di surrogati di occhi. 

Sono ossessionata dalle parole. Sono ossessionata dal non dire. Ho imparato il peso dell’inespresso. Cerco di evitare che se ne accumuli ancora. Il non detto incancrenisce in fretta. Allora dico troppo, dico cose che non dovrei, insisto fino al ridicolo.

Cerco compagnia per fare cose che avrei voluto fare. Se non la trovo, cerco di fare quelle cose comunque. Finisce sempre con un gran senso di vuoto, di inutilità. Non è così che lo volevo. E perde tutto il sapore e diventa malinconia.

È tornata quella canzone lì. Quella che non riuscivo a smettere di ascoltare. Quasi mi aspetto che prima o poi mi arrivi il suono di una chitarra a dire che non hai tempo per i ragazzi all’angolo, che fanno casino giù in strada, non hai tempo per le ragazze che passeggiano, perché stanotte vuoi stare con me.

Ci sto provando, lo giuro. 

Però quell’idea che non creare problemi non sia un difetto, l’idea di fare cose normali, in modo normale. L’idea di poter essere apprezzata perché so prendermi cura, perché divento rossa per i complimenti, perché sono indipendente e chiedo poco, perché vedo il bello anche nelle cose banali. L’idea di essere portata in spiaggia un sabato sera, di metterci a ballare in un bar, quell’idea che nothing matters in this whole wide world, when you are in love with a Jersey girl, ecco, di quella non riesco proprio a liberarmi.

Utopia

Chiamami e dimmi che stai arrivando, di mettere la prima cosa che trovo e farmi trovare sotto al palazzo.

Portami in centro, mangiamo schifezze, parliamo di stupidaggini importantissime. Giochiamo a chi conosce più citazioni dei Simpson e prendimi per mano. Guardami e fammi diventare rossa. Raccontami di quel viaggio. Fai finta che ti dia fastidio se dico di non volere la birra e poi bevo la tua, ma solo un po’. Prendimi in giro perché mi piace la tv spazzatura e lasciati sfuggire che però almeno una volta l’hai vista anche tu. Chiedimi di me, chiedimi dei miei progetti. Ridiamo, ridiamo tanto. Perché sono goffa, per una parola detta male, perché quella cosa che ti è capitata in effetti è davvero esilarante.

Baciami in un portone, sorridi perché mi imbarazzo, ma baciami ancora. Fregatene se ho sempre detto che in pubblico mi vergogno. Fammi vergognare e poi lascia che mi nasconda un po’ dietro di te.

Chiedimi di salire a vedere un film, una partita, il filmino della tua comunione. Cantiamo canzoni vecchie, cantiamo De André. Sorridimi quando ti dico che so suonare il piano, ma poco. Dimmi che sono brava, anche se quello bravo davvero sei tu. Offrimi da bere, non ti offendere se ti chiedo solo acqua a temperatura ambiente. Però se hai un biscotto lo mangio. 

Mettilo su ‘sto film, che ci serve una scusa per stare vicini. Fammi appoggiare. Non ti arrabbiare se guardo te invece del film.  

Spogliami, fatti spogliare. Facciamo l’amore, ma non prenderlo troppo sul serio. Voglio ridere pure mentre ti tengo addosso. Non chiedere il permesso. Non avere paura, non sei pesante, va tutto bene, sto bene. Fatti baciare i palmi delle mani e le orecchie.

Tienimi vicino, mentre me ne sto nuda a pancia in giù, anche se sei sudato e stanco. Diciamo cose stupide e senza senso, fin quando non ci si chiudono gli occhi. È tardi, dormiamo. Appoggiati.