Cosa sono i milioni se in cambio ti danno le scarpe?

Questa faccenda della vita-da-adulta-che-lavora mi ha costretto a fare una cosa che non facevo da circa un anno e mezzo: comprare abbigliamento.

Il perché per circa un anno e mezzo io non abbia comprato vestiti meriterebbe un post a sé, la cui scrittura ho più volte intrapreso nell’epoca oscura in cui ero senza PC. Se a qualcuno interessa, posso anche decidermi a raccontare quest’altra storia.

Per ora basti sapere che la sottoscritta dispone di un guardaroba ormai ridotto ai minimi termini. Che va necessariamente rimpolpato in virtù del fatto che, a quanto pare, la società civile non apprezza che si vada in giro in pigiama e pantaloni di tuta rubati ai fratelli.

Affronteremo perciò l’annosa questione delle scarpe primaverili da città, che, contro ogni aspettativa, non sembrano essere le simil-converse comprate in svendita al reparto bambini di Panorama tre estati fa. Incredibili le cose che accadono nel magico mondo degli aventi impiego.

Attualmente l’unico paio di scarpe in mio possesso che si presta all’arduo compito di non farmi sembrare una scappata di casa è quello delle adorabili ballerine con i lacci alle caviglie di Mango, scopiazzatura delle celeberrime Aquazzurra. Molto graziose, ma non particolarmente comode quando si tratta di camminare a lungo, come spesso mi accadrà di fare nei prossimi mesi. Allego diapositiva tratta dal mio cromaticamente scoordinatissimo profilo Instagram.
image

Un’attenta analisi di mercato mi ha dunque indotto ad individuare i tre tipi di calzatura che dovrò necessariamente procurarmi nelle settimane a venire.

  1. I MOCASSINI COLLEGE

I have a dream chiamato Church’s. Tuttavia I haven’t proprietà immobiliari da ipotecare, il che mi sta inducendo a cercare ovunque delle valide alternative. Magari in pelle. Magari made in Italy, che male non farebbe. Suppongo che la soluzione sia scandagliare i negozi di scarpe per vecchi. Intanto la grandedistribbbuzionemultinazionale mi ha offerto dei suggerimenti.

 

2. SLINGBACK BICOLORE

Credo che qualche anno fa Melluso abbia fatto un modello molto simile alle slingback di Chanel. Non oso immaginare cosa avrei detto di una donna con meno di settant’anni che avesse avuto la sciagurata idea di mettersele ai piedi. Ed invece eccomi qui, nell’anno solare 2016, ancora una volta schiava della muuuoda, a cercare sui siti cinesi delle repliche convincenti in 100% poliuretano.

 

3. SLIPON

Per le giornate in cui non basteranno le pressioni della società capitalista a convincermi che certi contesti esigono un abbigliamento adeguato, ma voglio mantenere un briciolo di dignità. Siccome sono un essere oltremodo noioso e votato alla a-cromia, ovviamente io le desidero nere, in un ormai avvistato in tutte le salse motivo pseudo-rettile. In tutta onestà, però, le trovo molto carine anche nei toni del pesca e del cipria.

The ultimate Fall 2015 guide w/Morena D.

Sottotitolo: me la sentivo caldissima, che nemmeno Emily di Cashmere&Cupcakes.

Dunque, amiche, il fatidico momento è giunto: dobbiamo stabilire cosa metterci durante il prossimo autunno/inverno.

Visto e considerato che l’unico acquisto della stagione estiva è stata una gonna in denim con i bottoni, la situazione del mio armadio resta sempre, drammaticamente, la medesima e cioè QUESTA.

Ho girato tuuuutti i siti dei negozi in cui normalmente compro e la faccenda è veramente, ma veramente complicata, amiche. E lo so che siamo tutte in uno stato di impasse, che stiamo sfogliando senza sosta il sito di Zara  da settimane, chiedendoci dove sia il giusto e dove si nasconda l’errore, amiche. Lo so che stiamo tutte aspettando che la prima e più coraggiosa di noi apra le danze dello shopping autunnale, per sapere a che santo votarci.

Io stessa sono stata colta da profondo sconforto e mi sono rivolta ad una persona del cui gusto mi fido ciecamente e senza riserve, una persona che è stata in grado di farmi ricredere persino sui pantaloni coulottes. Sto parlando di Morena D. Dopo intense consultazioni, abbiamo deciso di mettere insieme le nostre forze, onde evitare di ritrovarci tutte vestite da Cugini di Campagna e/o da Brenda Walsh, perché è questo che le fescion bloggherz mireranno a farci diventare. Quindi stampate questo post e usatelo come memento per i prossimi mesi, copiaincollate il video di Morena sulla home del vostro pc e lasciatevi guidare dagli insidiosi perigli di questo limbo Anni ’70/Anni ’90 in cui siamo ancora intrappolate.

La parola d’ordine, amiche, è MODERAZIONE. Io lo so, lo so che è un attimo a farsi prendere la mano e a immaginarsi leggiadre ninfe strafatte di erba a Woodstock o cosplay della nostra Spice Girl preferita (la mia Mel C., da sempre e per sempre, anche perché negli anni ’90 non portavo altro che tute).

NO.

La regola base è seguire i trend, senza farla diventare una carnevalata, ma soprattutto FATE IN MODO CHE L’ABBIGLIAMENTO VI VALORIZZI e, se vi fa cagare qualcosa, non cedete anche se la vostra influenZer del cuore vi dirà che siete troppo out. Chiaro?

Ma veniamo a noi.

Seventies Vibe

Sottotitolo: ci voglio crederci come Lapo Elkann, al fatto che mi darete retta.

Grazie agli Déi della Muoooda, gli anni Settanta non ci hanno dato solo Gloria Gaynor e Renato Zero, ma anche Jane Birkin. Ecco, pensiamo intensamente a lei o a qualche look azzeccato di Florence Welch e Louise Ebel o a quella sempre perfetta stronza della Chung, prima di decidere l’autfich ov de dei nei mesi a venire.

Siccome sono buooona, vi appiccico qui un po’ di ispirazione.

PicsArt_1440327719777 PicsArt_1440328124538

Ma non indugiamo oltre e procediamo ad elencare una serie di capi indispensabili per ottenere un look Seventies:

  • Cappello in feltro a tesa larga.
  • Panaloni scampanati: attenzione amiche, i pantaloni scampanati
    hm24
    H&M

    possono essere i vostri migliori amici o dei nemici senza quartiere. Li trovate un po’ su tutti i siti, con il nome di flare jeans o bootcut jeans. La regola vorrebbe che il taglio flare fosse più scampanato di quello bootcut. Ribadisco, la moderazione è d’obbligo, quindi preferite gambe non eccessivamente larghe, perché qui quasi nessuna è Gisele ed è un attimo sembrare degli ippopotami vestiti da ballerine di flamenco. Piuttosto scegliamo pantaloni che si allarghino dal ginocchio in giù senza trasformarsi in mocho Vileda e che coprano totalmente la scarpa. La quale sarà senza se e senza ma, dotata di tacco, quanto più alto possibile. In questo modo vi assicurerete chilometri e chilometri di gambe. Io da qualche parte dovrei avere un jeans comprato già due o tre stagioni fa. Medito di comprarne uno nero e non andrò oltre.

  • Blusa: io non sono un tipo coraggioso, quindi vi suggerisco di andarci molto, ma molto piano con le fantasie. Sceglietele piccole e discrete, oppure fate come me e datevi ai toni neutri. Se sapete dove trovare bluse morbide, non in 100% poliestere a cifre umane, siete pregate di comunicarmelo. Intanto credo che ripiegherò su queste proposte qui:

    PicsArt_1440344601665
    Mango, Zara, H&M
  • Camicia da uomo: abbiamo detto che Jane Birkin dovrà essere la nostra musa di riferimento. Quindi della camicia da uomo bianca o azzurra, con le maniche arrotolate, proprio non possiamo farne a meno. A me fanno impazzire anche gli chemisier, con una cinturina sottile in vita e over-the-knee boots (ma anche stringate maschili) oppure morbidi, con tacchi larghi e altissimi, magari con cinturino alla caviglia.
  • Botton down skirt: ce l’hanno propinata in tutte le salse già la scorsa stagione, quindi se (al contrario mio) siete gente sul pezzo, ce l’avete già. Io penso di prenderne una nel colore moda nero, da Stradivarius. In alternativa, se avete coraggio e le gambe adatte, potreste puntare sulla variante shorts.

    PicsArt_1440345709118
    Zara; Stradivarius.
  • Vestiti: time to channel your inside Florence Welch, amiche. Sì a tessuti leggeri e svolazzanti, gonne maxi, maniche scampanate. SEMPRE UN DETTAGLIO ALLA VOLTA E STATE MALEDETTAMENTE ATTENTE ALLE FANTASIE. Restate su disegni piccoli e, se il vestito è già “impegnativo” come struttura, magari rimaniamo sulla tinta unita, ché già ci vedo circolare coperte di paisley, convinte di essere it-girl al Coachella, mentre  invece sembriamo il copridivano della prozia Pierina. Enormi, colossali sì per le tutine o jumpsuit o romper o sarcazzo. Usiamole tantissimo ora, che quando arriva il freddo vero spogliarsi per fare la pipì diventa un incubo.

    PicsArt_1440360823066
    Zara; H&M; H&M.
  • Gilet di pelliccia: per quando arriverà il frescolino. Gilet, cappello di feltro, una collana lunga e sottile con un bel monile e siete più che a posto.
  • Giacca con le frange: ecco, questa è una cosa fuori dalla mia
    hmprod
    H&M

    portata, ma l’hanno proposta praticamente tutte le catene. Anche qua, suggerisco un colore che non sia il cognac classico, che, oltre ad averci sfrantecato le palle essere un po’ inflazionato, ci rende particolarmente simili a Terence Hill, prima che andasse a fare il prete a Gubbio. In generale, andateci piano co’ ‘ste benedette frange. Un capo o un accessorio alla volta, non di più e possibilmente non completamente fatto di frange. Davvero, basta un dettaglio, non siete Sharon Stone in “Pronti a morire”. Un’ottima e poco inflazionata (ma dannatamente ’70s) alternativa è la giacca in suede con colletto, dritta oppure stretta in vita da una cintura, in stile trench. Inutile dirvi che Madre ne aveva una. Ancor più inutile specificare che è stata buttata.

Un momento di riflessione lo dedicherei al foularino super sottile à la Saint Laurent. Tenete presente che, essendo poco più di una riga orizzontale che vi attraversa il collo, tenderà inesorabilmente ad accorciare il medesimo. Quindi, se proprio dovete, provate a tirare su i capelli. Decisamente più di mio gradimento è l’alternativa molto Alexa Chung, di portarlo a mo’ di fiocco, su una camicia bianca. Purché sia bello morbido, avete il mio benestare. Personalmente, invece, eviterei le camicie con fiocco sul colletto incorporato. Il fantasma di Blair Waldorf è troppo vicino, sembreremmo delle meringhe leziosette.PicsArt_1440361391227

Back to Nineties

Come se il revival di una decade non fosse abbastanza complicato da gestire, l’autunno sembra non voler mollare questo trend anni ’90 dimmerda. Io soffro, amiche. Gli anni ’90 risvegliano in me ricordi troppo dolorosi perché io possa desiderarne il ritorno. Io le magliette Onyx, l’ombelico scoperto e le collanine di plastica del Cioè non le ho ancora superate. Non potete propinarmele di nuovo.

Eppure qualche buona idea c’è, purché vi ricordiate della regola base: LAVORIAMO PER SOTTRAZIONE.

Procediamo con elenco anche qui:

  • Camicia check: Sono arrivata alla determinazione che ne esistono solo di due varianti possibili: bianco e nero oppure rosso e nero. E infatti io ce l’ho in rosa e bianco e rosso e blu. Ottimo. Per il bianco e nero ho già individuato l’Oggetto dei Desideri da Mango, la variante col rosso che mi piace invece, potrebbe essere questa di Zara. Vi lancerò un’idea: sarebbe da provare anche una versione chemisier, magari con un bel paio di Doc. Martens. Riflettiamo.

    PicsArt_1440361024303
    Mango; Zara
  • Denim: sbizzarritevi ragazze. Salopette, gonne, camicie, l’immancabile giubbino. Tutto fa brodo. Io bramo un paio di vestiti, forse anche tre, ed un giubbino un po’ oversize. State lontane dal patchwork, per carità. Il denim sul denim richiede profonde riflessioni cromatiche, prima di essere dichiarato accettabile, ma se beccate la combinazione che funziona, per me è sì. Una prece, amiche: eliminiamoli dal mondo questi maledetti mommy jeans. Davvero, non donano a nessuno. Pure quella stronza di Kelly Taylor pareva avesse i fianconi per colpa loro. Sostituiamoli con un più donante taglio girlfriend. Già la vita è difficile, non condanniamoci volontariamente ad un esaurimento nervoso da culo grosso.

    PicsArt_1440416711210
    In senso orario: Topshop, Topshop, H&M, Topshop, Zara.
  • Basic: questa, per quanto mi riguarda, è la mia buona notizia. Bramo valanghe di vestiti mini e maxi in jersey o lana sottile, nei colori moda nero, antracite e grigio melange. Bramo skinny grigi e neri, t-shirt bianche con scritte nere, pull girocollo. Bramo il cappotto dritto grigio e il parka verde militare e il trench e la giacca di pelle nera. No fronzoli, tagli puliti, accessori minimali. Ci vorrei tutte così, effortless come modelle off-duty. E vorrei un cinque o seicento euro da spendere in capi basic di media qualità, per essere a posto per tutta la stagione.
    PicsArt_1440418840884
    Zara; H&M; H&M

    PicsArt_1440418917550
    Zara; Zara; Bershka.
  • Righe: che poi per me potrebbero rientrare nella categoria basic. Anche in questo caso, atteniamoci a combinazioni un po’ grunge, bianco e nero, grigio e nero, bordeaux o rosso. Dai su, ce li abbiamo presente tutti i look un po’ disagiati, wannabe Kurt Cobain. Ecco, quelli.

I Nineties sono stati pieni di insidie e questo fottuto revival sembra volerci far ricadere in antiche brutture. Ma ve lo dico subito, amiche, ci sono cose a cui dovrete dire dei fermi NO:

NO alle magliette monospalla, a meno che non abbiate un braccio solo.

NO alle maledette collanine di plastica del Cioè. Il passo successivo sono i braccialetti della medesima foggia, portati sul bicipite, a mimare il tatuaggio di Michelle Hunziker.

NO alle magliette in lana a mezze maniche. Abbiate pietà, facevano cagare già negli anni ’90 e nessuno ha mai saputo come e quando metterle, probabilmente perché non c’è occasione o temperatura o luogo a cui si adattino sul serio.

Incredibilmente vi dico che non sono totalmente contro il total look in lana, specialmente se composto da pull e pantaloni, ma c’è una regola imprescindibile da seguire, che chiameremo Regola delle Birkenstock: la tuta di lana non è un capo glamour o troppo fascion o che altro. Si tratta di un look comodo, da aeroporto, da casa, al massimo da veloce corsa al supermercato per comprare il latte vegetale. Stop. Niente aperitivi, niente cene di gala, niente appuntamenti di lavoro con la tuta in lana.

Io lo so che mi sono dimenticata almeno sette o ottocento regole fondamentali per sopravvivere a questo durissimo autunno. La cosa bellissima di fare una collaborazione è che, sicuramente, quello che ho dimenticato io ve lo saprà dire in maniera molto più convincente Morena D. sul suo canale You Tube. Devo davvero dirvi di andare di corsa a seguirla? C’è qualcuno tra voi che ha il barbaro coraggio di non seguirla ancora? Dal canto mio, lo faccio ormai da un bel po’ di anni, da quando le piacevano i fiocchi e gli orecchini “a bottoncione” e portava quasi sempre i capelli legati. L’ho amata da subito e non mi sono mai persa un video. Questa collaborazione è stata per me un onore e spero di non aver deluso le aspettative e, come direbbe Morena, “di avervi dato qualche consiglio utile”.

Per qualunque dubbio, domanda o perplessità, potete lasciare commenti, scrivermi su Twittersulla pagina Facebook , inviarmi uno snap ( mi trovate come Kellakiara) o un piccione viaggiatore. E adeso filate tutti a guardare il video di Morena.

Sonosoloinvidiosa

Alla fine è successo. Ed il merito è tutto di Snapchat, un’applicazione che io, ingenuamente, avevo snobbato, rifiutato, sarcasticamente liquidato con un “è roba da bimbominkia”. Scusami, Snapchat, io non avevo capito che tu saresti stato il mio più grande alleato, la mia inconfutabile prova, il mio rasoio di Ockham. Tu, mio caro Snapchat, sei stato quello che il DNA mitocondriale è stato per Bossetti: l’evidenza incontestabile che la mia teoria è sempre stata giusta.

Posso affermarlo senza timore di essere smentita adesso.

LE FASHION BLOGGER MI STANNO SUI COGLIONI.

Dio, che liberazione! Che leggerezza d’animo.

Ma farò di più e argomenterò questa mia affermazione, così per il gusto di essere definitivamente emarginata dalla socialmediablogosfera, esiliata su Plutone e colpita da riti voodoo.

In realtà dire che mi sanno sul cazzo le fashion blogger è fuorviante.

Ah Kella, stai già ritrattando? Stai già cercando di indorare la pillola?

Giammai, ma voglio essere precisa. Non mi stanno sul cazzo tutte le fashion blogger, perché non tutte le fashion blogger sono uguali. Ci sono le fashion blogger in senso proprio, quelle che si occupano di moda, tendenze, che fanno ricerche, analizzano fenomeni, parlano anche di musica, vita, film, caselibriautoviaggifoglidigiornale. Tra le italiane mi vengono in mente Giulia di Rock ‘n’ Fiocc , Claudia di Piccolo Spazio Vitale o le Marziane  (ma definire loro come fashion blogger è quantomeno riduttivo).

Quelle che irritano il mio sistema nervoso sono le adepte del metodo Ferragni. Quelle che trascorrono la loro esistenza a fotografarsi i vestiti, a photosciopparsi i brufoli, a instagrammare i pasti, a snapchattarsi nei cessi. Ecco, quelle lì, Ferragni compresa, mi provocano l’orticaria e le ragadi anali.

E poteva essere una falsa percezione, la mia. Poteva essere un pregiudizio, la voce della frustrazione del mio ego inappagato. Io me lo sono posto il problema, eh. Io e la mia atavica insicurezza e convinzione di essere un peso per la società intera ci siamo chieste se il mio odio non fosse altro una mal riposta forma di invidia, uno scazzo potente dovuto al fatto che a loro sì e a me no. E invece è arrivato Snapchat. Costoro campano della fama che i social media hanno loro attribuito ed il massimo concetto che riescono ad articolare si condensa nell’ermetica quanto universalmente valida frase “AI GAIS! DIS IS MAI AUCFIC OV DE DEI! SEI AAAAAIIII!”

Il resto sono bocche a culo di gallina, primi piani infiniti che nemmeno Sergio Leone, molestie a cagnolini innocenti. Perché la regola vuole che tu abbia un cagnolino, se sei una fashion blogger. Ma guai ad avere un cane che pesi più di 5 chili. Devono essere bestiole maneggevoli, da seviziare a piacimento, sottoponendoli ad estenuanti sciuting e dando loro comandi in lingue che non conoscono e con un tono di voce la cui frequenza è a un passo dall’ultrasuono. Ti prego, Mati tu che sei l’ambasciatrice dei quadrupedi schiavizzati, al prossimo sei ai beibi, ruttale in faccia alla Ferry, che magari si toglie il vizio di romperti i coglioni.

1[foto di Vita su Marte]

Ui ar goin tu de puuuulll cosa, che stai mettendo i piedi a mollo nella vasca delle tartarughe che hai sul balcone della tua casa di Tor Tre Teste?

Sei sulla fottuta spiaggia di Bali e il meglio che trovi da fare è inquadrare il tuo ragazzo che si aggiusta le palle nella retina del costume, prima della trecentesima immagine di te no filter, ma con sei chili di illuminante e tre paia di ciglia finte in riva al mare?

Questo accanimento nel far vedere quanto la laif sia emeizing non lo tollero. Sono profondamente convinta che le cose belle (nel senso più vasto del termine) siano quelle che rendono la vita sopportabile. Ma penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che non ci sono solo cose belle nella vita.

Nella vita c’è la ricrescita dei peli, le mutande da ciclo, la diarrea, lo smalto che si sbecca sempre al momento meno opportuno, il pigiama di flanella con gli orsetti e la felpa del 1986 color vomito ereditata da papà. Ci sono le mutande in pizzo a 12 euro l’una che si scambiano in lavatrice, c’è da lavare il cesso con i guanti gialli di gomma. Ci sono i 25 minuti di attesa dell’autobus, con quaranta gradi all’ombra e la coda di 15 chilometri in autostrada. C’è che vai a cena fuori e ti macchi il vestito nuovo, c’è la cellulite, ci sono i pori dilatati e la lettiera del gatto da pulire.

Ed è inutile che facciate finta che queste cose non esistano. SIETE FALSE CAZZO! (semicit.)

A tutte noi vagymunite piace parlare di vestiti, osservare gli altrui vestiti, giudicare gli altrui vestiti. I vestiti sono gioia, soddisfazione, veicolo di stabilità emotiva, “passione, ossessione“.

A tutte piace vederci belle. Ritrarsi quando ci si sente belle lo trovo quasi sano, sicuramente rassicurante. Ci fornisce l’imperitura testimonianza che non siamo poi dei cessi fotonici, è un tonico per lo spirito in quei giorni in cui la PMS ci attanaglia e siamo gonfie come dirigibili Duff. Se poi è qualcun altro a ritrarci, qualcuno che sappia che l’ISO non è una malattia venerea, allora si raggiunge l’apice dell’autostima ed è subito Giselle lévati e torna a nascondere i ritocchini sotto al burqua che ‘sta copertina è mia. E quante più consensi si riscuotono, tanto più la soddisfazione aumenta. Liketemi, cuoratemi, condividetemi, fate sì che quel deficiente che ha osato friendzonarmi si mangi le mani e le braccia fino alle clavicole, riducete in poltiglia l’auostima di quella stronza con le tette rifatte che fa sempre la svenevole col mio uomo.

Ma farsi scattare due foto con la reflex settata in automatico non è un lavoro. Dire che le marche X e Y sono super top troppo fighe perché in cambio vi danno tre smalti celesti con i glitter non è un lavoro.

Guadagnare è diverso da lavorare. E va bene, vi ci manterrete con quelle quattro foto in total look Tally Weijl (l’ho googlato), ma questo non vuol dire che voi lavoriate. E tantomeno che abbiate qualche merito.

E allora avanti adesso, a darmi della soloinvisiosa.

Porca troia, sì che sono invidiosa. Delle possibilità che la vita ha offerto ad alcune (e badate bene solo ad alcune) di queste miracolate. Delle persone no, non sono invidiosa. Sono sottilmente imbarazzata e spesso fortemente irritata dalla povertà di contenuti dei post dei loro blog, dalla ignoranza di chi, pur passando la propria vita a vantarsi degli emeising pleis che visita di continuo, si esprime in un inglese che non consentirebbe nemmeno di superare il PET del Cambridge.

La Ferragni, il male primigenio, scatena in me una incazzatura particolarmente acuta. Sei stata messa su un fottuto piedistallo, senza nessun merito particolare e non hai fatto nulla per dimostrare di essere degna di starci. Bella è bella, non fraintendetemi. E negli anni sono migliorati i suoi capelli, il suo trucco e i suoi vestiti. Quasi sempre, almeno. Ma lei non è migliorata affatto. L’unica sua dote è quella di essere una carinissima bambola, incapace in tutto meno che nel saltellare in giro e sbiasciare frasi stentate in inglese, tormentando il povero schiavo, filippino, fidanzato Andrea Arturo.

fescion-aicon-chiara-ferragni-L-KTG7UJ[IO NON DIMENTICO]

La Ferragni è sostanzialmente una Francesco Sole che ce l’ha fatta.  Una signora nessuno che, per una serie di fortunati eventi, si è trovata ad essere circondata da persone brillanti e di talento.

Sì, Riccardo Pozzoli, parlo di te. A te va la mia sincera stima. Tu hai preso una sciacquetta provincialotta e ne hai fatto un business milionario. Ecco, Pozzoli è uno che ha dimostrato, nel suo campo, di avere talento. E cervello. Al punto che, quando si è rotto le palle di stare in mezzo al circo, ha fatto un passo indietro, ha assoldato il buon Andrea Arturo (del quale credo abbia i genitori in ostaggio, perché altrimenti non si spiega perché questo povero uomo si presti a fare da zerbino e giullare di corte della Ferragni, delle sorelle della Ferragni, della mamma della Ferragni, della criù della Ferragni) ed è rimasto a godersi i big money, lontano dall’onnipresente telefonino e dal molesto SEI AAAAAIII!