Flashback

Ho questo ricordo di una me diciassettenne che si dimena e urla forte e tenta di scappare, come fanno i bambini che si divertono quando dici loro che è ora di andare a casa.
Solo che io non mi stavo divertendo per niente. Piangevo fortissimo.
Eravamo davanti al portone della mia vecchia casa. C’era Madre e piangeva anche lei. E c’era Padre che di peso tentava di infilarmi in macchina. Avevo la seduta dalla psicologa e non volevo andarci. Ero in preda al panico e ad una crisi di nervi, mezza in pigiama, con le scarpe da tennis infilate a forza da Madre sui calzini antiscivolo che usavo per stare in casa.

Non è facile avere a che fare con una persona depressa.

Ricordo le mattine in cui Madre veniva a svegliarmi per andare a scuola e io rifiutavo di alzarmi. Lei buttava per aria coperte e cuscini e cercava di trascinarmi giù dal materasso e io mi attaccavo al letto Ikea. Quanto deve sembrarvi stupida questa immagine. Una diciassettenne con le reazioni di una bambina di quattro anni al primo giorno di asilo.
Qualche volta Madre iniziava a buttare cose per l’aria. Il mio iPod nuovo di pacca finì così, spiaccicato sul muro sopra la mia testa una mattina qualunque. Nei giorni peggiori ricordo Madre che si piegava su se stessa e si tirava i capelli e urlava che non ce la faceva più. I denti digrignati dalla rabbia, piangeva.
Io restavo a letto immobile. 

Oggi mi hanno chiesto “come stai?”
E mi è venuta in mente la disperata frustrazione di Madre, che si tirava i capelli davanti al mio letto. Perché sapeva di non potermi aiutare e non riusciva a convincermi del fatto che dovessi essere io a fare qualcosa. Non riusciva a fare in modo che io trovassi la forza di chiedere aiuto.
È terribile vedere chi ami distruggersi.

La depressione rende egoisti. Si soffre di un dolore assoluto. E allora, quando stai male, ti senti in colpa perché sai di far star male chi ti è vicino, ma alla fine a prendere il sopravvento è la tua sofferenza. Gli altri stanno male, ma tu di più. Loro soffrono per te, ma poi sei tu a dover fare i conti con le tue ferite. E il dolore di chi è intorno è solo un peso in più, qualcosa per cui arrabbiarsi perché io sto già di merda di mio, non serve che mi fai pesare quel che provi tu davanti al mio dolore, se non ti sta bene, vattene.

Quando vedi chi ami soffrire, senti l’impotenza. Preghi dio o chi per esso di dare a te quel dolore, perché tu lo sapresti sopportare e perché l’altro sarebbe libero. Perché, se non sappiamo aiutarlo, allora ce lo meritiamo anche noi di soffrire.
Quando vedi chi ami fare la guerra col proprio demone e sai di non poterlo aiutare, ti agiti tentando di aiutarlo a parare i colpi, dai indicazioni per prevenire le mosse. Sei come quei genitori sovreccitati e scostumati che, attaccati alla rete a bordo campo, rompono i coglioni al figlio durante la partita dei pulcini. Solo che, a differenza di quegli esaltati, ti prenderesti a schiaffi per quello che stai facendo.

Ciao. Scusa, è che vorrei aiutarti, anche se so che non posso farlo. Anche se tu non vuoi essere aiutato.
Ciao. Scusa, è che non so che dire, perché sono stata te e so che tutto quello che dico ti fa solo salire la rabbia.
Ciao. Scusa.

Crack.

Tu lo sai che sta arrivando, ma fingi spudoratamente. Osservi con la coda dell’occhio, nel timore che uno sguardo diretto rompa quel fragile equilibrio.

Crack.
All’improvviso, come i temporali di Aprile. Un dettaglio. Sai di aver perso il controllo.

Crack.
La situazione è fuori dal tuo controllo.
Tu sei fuori dal tuo controllo.
Per un dettaglio.
La nausea, la tachicardia, il fiato corto. Da stesa, immobile nel letto. Il sangue che sale alla testa e te la fa girare. Gli occhi annebbiati.
Ho perso il controllo. Piango. Zitta, per non far rumore.

Crack.

Random

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Sono riuscita a mettere in fila tre foto cromaticamente armoniche su Instagram, quindi oggi ho fatto una foto al mio primo tentativo di fiore ad acquerello, ma non posto postarla perché mi altera l’equilibrio visivo. Che poi il fiore è pure bruttarello, quindi non tutti i mali vengono per nuocere.
Tutti felici per il weekend lungo, tristi perché il tempo fa schifo e succede sempre così, oh mai una pasquetta o un venticinque aprile o un primo maggio con il sole. Io del weekend lungo sono anche contenta, perché sono stanca come la merda, ma il tempo bello non mi serve a niente, quindi che piova, che tiri vento, così poi martedì torna il bello e posso camminare i miei tre chilometri per arrivare a lavoro senza inzupparmi. Ora che ci penso, anche il mio ombrello è là, con i rimpianti e la voglia di urlare.
Son tutta fuori posto, sempre. Ogni tanto mi accorgo che sono comunque in piedi, che faccio un passo e poi un altro e un altro ancora, anche se sono stanca, con le vesciche ai piedi e il fiato corto. Mi sembra strano. Mi aspetto di vedermi immobilizzata, annichilita da un momento all’altro, però intanto riesco a mettere un piede davanti all’altro e va bene così.
Incerta, precaria. Non so, non si sa. Forse il prossimo fine settimana, tra un mese riempiamo gli scatoloni o invece no, dipende. Lo sai che sono fatto così. Sì, lo so. Ansia, apatia, un buco sotto lo sterno, no, non è fame, però la pizza a tre euro ordinatela anche per me. Il senso di colpa, ecco, quello stavolta no, nemmeno se poggio l’orecchio sulla porta del cuore. Che se mi chiedessi “come sta? È aperta almeno un po’?” mi scapperebbe da ridere, perché ho dovuto murarla e nascondere i cocci sotto il tappeto, tirare fuori il mio sorriso più convincente e dire che è tutto ok, va bene. Qualcuno ci casca. Credo si tratti di un caso di high functional addiction, dottore. Vale anche per le persone, no?
Certe volte vorrei mandare all’aria tutto. I soldi, la macchina, “sto andando in ospedale”, le gocce, “mi misuri la pressione?”, le cose che non ho e di cui avrei bisogno, quelle che ho e che non servono a niente. Faccio spazio, butto, do via, qui manca l’aria.
Sai quando hai delle idee e non hai i mezzi per realizzarle? E quando ti sbatti talmente tanto per trovare i mezzi che non ti resta più la forza per mettere insieme i pezzi?
Io penso che, se passi per l’inferno, cerchi solo la pace. E se non è tutto perfetto, fa nulla. E se devi romperti il culo per mantenerla, fa nulla. E se gli altri ne hanno di più e non fanno nemmeno fatica, beati loro, ma per me fa nulla lo stesso. È che non so se so arrivarci, ma dove voglio arrivare e con chi lo so benissimo. Ed è talmente bello che chissenefrega se ci arrivi massacrato. È quando non sai dove vuoi andare il problema. È incolpare gli altri, perché le cose non vanno come vorresti, ma la verità è che non lo sai se è vero perché non sai come vorresti che andassero.
La verità è che pensiamo di essere stati messi in gabbia. Ma, se guardi bene, ti accorgi che la gabbia te la sei costruita tu; ti accorgi che lì dentro è piccolo e stretto e ci stai male, ma sempre allo stesso modo, di un male prevedibile che  conosci e puoi controllare. Fuori non lo sai che ti può succedere. È che ti caghi sotto. Io mi cago sotto tutte le mattine, però a un certo punto devi scegliere: o ti pulisci e ti alzi e ci provi o muori.