It is what it is

Il problema non sono le difficoltà. Il problema non sono le giornate di merda.

Il problema è quando non hai prospettive, quando non puoi aspirare a niente di migliore. Il problema è quando non hai nulla di bello ad aspettarti.

Ho tanto bisogno di qualcosa di bello. E non mi viene in mente di più bello che essere amata.

E sì, è vero, bisogna bastarsi, bisogna amarsi, bisogna avere un atteggiamento positivo. Vi sfido a dire che non lo faccio.

Ho comprato la macchina fotografica, i vestiti nuovi, le scarpe col tacco ed il rossetto rosso. Esco, dico sempre sì, dovunque mi invitino, qualunque cosa mi propongano. E se proprio non ho compagnia, vado in giro da sola. Mi beo di riuscire finalmente ad andare in giro da sola, tra le strade di Roma, quelle di Napoli o a cercare qualche spiaggia nascosta, la macchina fotografica al collo, la musica nelle orecchie.

Mi metto il sorriso in tasca tutte le mattine. Ho la battuta pronta e l’ironia sempre a portata di mano. Poi arriva la sera e non resta niente.

Va bene.

Va bene, ma non basta.

Qua trema tutto un’altra volta. Come si chiama quel gioco con i legnetti che formano una torre e, a turno, si tira via un legnetto alla volta e si cerca di far restare la torre in piedi? Ecco stiamo giocando a quel gioco lì. E il legnetto che sta per scappar via è quello che, fin’ora, ha tenuto su tutta la torre. E intanto siamo cresciuti e ci siamo incastrati in modo che, almeno un pezzetto della torre stia anche sulle nostre spalle, ché così non crollerà proprio tutto. Forse.

I lamenti di chi ha il cancro alle ossa li conosce solo chi ha vissuto con qualcuno affetto da cancro alle ossa.

Non c’è granché che la mia attitudine possa fare. It is what it is.

E io son da sola un’altra volta.

E sì, lo so che non sono sola. Ci sono persone fantastiche qua intorno a me, che mi tengono in piedi con l’affetto e le risate. Rido un bel po’ ultimamente. Va bene.

Va bene, ma non basta.

C’è che ho un gran bisogno di essere amata. In maniera stupida e superficiale e poi tenera e profonda.

Ho fatto una cosa molto coraggiosa la scorsa settimana. O una cosa molto stupida. Ho detto a una persona che mi piaceva che, per l’appunto, mi piaceva. Che non mi piace mai nessuno, però lui sì. Che, niente, mi sarebbe piaciuto andare a bere una birra e sentire musica.

E probabilmente è stata una cosa più stupida che coraggiosa, in effetti.

Dovrei imparare a tenere la boccaccia chiusa ed a fare la gattamorta svenevole. Pare funzioni. Ma niente, non son capace. Sono così cretina che, se mi passa qualcosa per la testa, devo proprio dirla.

Decisamente è stata una cosa più stupida che coraggiosa, in effetti.

Non mi rimane che nascondermi in un angolino ad aspettare che la vergogna passi, dando ogni tanto una capocciata per non essere capace di mordermi la lingua ed essere diversa da come sono.

Ecco, in queste situazioni invidio un sacco chi riesce ad arrabbiarsi. Io divento solo triste. Non ci si può arrabbiare perché qualcuno non ci ritiene abbastanza interessanti.

Sono solo triste perché avevo avuto per 15 secondi la sensazione che quella cosa bella che mi serviva fosse a portata di mano. Qualcuno con cui staccare la testa, qualcuno da aspettare e da cui essere aspettata e con cui fare cose che mi diverte fare.

Una persona-porto, con la faccia da schiaffi ed un bel modo di vedere il mondo.

Ma non ci si può far niente. It is what it is.

Stamattina ho messo Nick Cave nelle orecchie, ho preso la macchina fotografica e sono andata all’antico porticciolo romano. Mi sono quasi rotta l’osso del collo per arrampicarmi sugli scogli e ho infilato uno stivaletto nuovo in una pozza di fango. Il cielo era bianco ed il mare piatto. Una grande calma, nessuno a rompere i coglioni.

E ho pensato che a quella persona sarebbe piaciuto. E che a me sarebbe piaciuto sapere come lo avrebbe visto lui, quel posto lì.

Ma ero lì da sola. Ho fatto qualche foto e sono andata via.

It is what it is.

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Amore Solido

Vabbè è morto Bauman.

Ed è di quelle morti che mi fanno soffrire abbastanza. Con quel suo modo chiaro ma mai banale di affrontare le parti banali dell’esistenza.

“È morto felice e ci ha lasciato tanto e il fatto che sia morto magari farà sì che qualcuno se lo legga e rifletta. L’aveva messo in conto, ne sono sicura.”

A. ne è sicura, quindi ok, supererò la faccenda.

Intanto però mi si è riempita la bacheca di Facebook di citazioni, video, spezzoni di interviste. E mi è capitato di leggere questo: 

Cos’è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?
“Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L’amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame”.

Sono settimane che me ne vado in giro con questo magone sospeso sulla bocca dello stomaco. Questo senso di rabbia, di frustrazione. E la schifosa, gelida, urticante sensazione di essere invisibile. Ed il paralizzante, terribile timore di aver bisogno di un abbraccio in cui potermi sciogliere. La consapevolezza di aver bisogno del tepore. Che vaffanculo l’indipendenza, il femminismo, le donne alfa, i celafacciodasola.

Sai Zygmunt, ho come l’impressione che ci sia qualcosa di sbagliato in me. È che il mio amore, credo, è un Amore Solido.

Io me ne frego delle emozioni, Zygmunt. A me interessano le persone. Poche, in realtà, e molto di rado. Ecco, forse mi interessano le loro emozioni, questo sì. Ma delle emozioni in quanto tali, Zygmunt, non me ne faccio granché alla fine. 

Sai, Zygmunt, il primo bacio è bello, però il bacio che ci si dà con gli occhi chiusi, nascosti la mattina nel lettone, prima di scappare a lavorare, secondo me è ancora più bello. E quello della sera, quando si torna a casa, sul divano, finalmente liberi da jeans e scarpe e responsabilità, oh Zygmunt, quello credo sia il più bello di tutti.

Credo di avere l’Amore Solido, perché dirsi “a domani” e ritrovarsi quando domani arriva mi sembra la chiave della felicità. Io non le voglio le emozioni a prescindere dalle persone, Zygmunt. Io non voglio che si innamorino di me, io voglio essere amata. No, le emozioni non le voglio. Voglio trovarlo bello anche quando è stanco ed incazzato e voglio vedere gli occhi che gli ridono quando io sono stanca ed incazzata, perché poi mi passa.

Non me ne frega niente delle emozioni, Zygmunt. Io non voglio essere la bufera che lo travolge. Io voglio essere il porto.

Riposa Zygmunt. E grazie per avermi fatto sentire strana.

16 Dicembre

Non ho niente di bello da fare questo weekend.

Sono in treno, col mal di testa da calo di tensione ed una pila di libri che mi ha dato da leggere il Capo. 

Sono a zero con i regali di Natale.

Ho la macchina fotografica nuova, tutta piena di bottoncini, col wifi e lo schermo touch. La guardo tutte le sere con timore reverenziale. Dovrei trovare il coraggio di uscire con lei, portarmela in giro e prenderci confidenza. L’idea mi agita come un primo appuntamento.

Tra le cose belle, la testa su una spalla, parlarsi all’orecchio, i Fori al tramonto.

Penso a letti tiepidi, persiane lasciate aperte per far filtrare la luce della domenica mattina. L’aria gelata sui polsi e le caviglie andando in moto verso il mare. Stiracchiarsi come i gatti al sole. 

Ho un body nuovo che ancora nessuno ha visto ed un cappotto ridicolo, che quando lo tocchi sembra un peluche.

Ho le idee chiarissime e nessun potere sul poterle vedere realizzate.

Una volta ogni tanto, non sarebbe male essere ricambiata.