Spezzata

Sono scesa dal treno, con la valigia grande e pesante che nessuno mi aiuta a portare. Sono uscita dalla stazione, ho sceso la prima rampa di scale, con la valigia grande e pesante. Mi sono seduta a metà della seconda rampa, da dove si vede bene il mare, e ho pianto zitta dietro gli occhiali da sole. C’erano due ragazzine con un cane.
Non lo so quanto tempo è passato. Mi sono alzata e ho camminato fino a casa, trascinando sul basolato irregolare la valigia grande e pesante. Ho camminato al centro della strada e ho attraversato col rosso, senza guardare. Non sono arrivate macchine e ho pensato che domani la rifaccio quella strada e attraverso di nuovo a quel semaforo. Ho salutato la signora incrociata sul pianerottolo e sono entrata in casa. Ho posato la valigia grande e pesante e sono andata in bagno.
Ho chiuso la porta a chiave. Ho aperto l’acqua della doccia e mi sono spogliata.
Mi sono messa davanti allo specchio, quello lungo che sta sull’anta del mobiletto e ho guardato.
Ho visto piedi tozzi e informi. La ricrescita dei peli sulle gambe pallidissime. Ho visto cosce grosse, gli accumuli di grasso al loro esterno e il punto in cui si toccano nel mezzo. Ho visto il mio sedere grosso e coperto di cellulite e i fianchi troppo larghi. Ho visto quelle maledette bolle nell’inguine, che non so come mandare via perché per farlo ci vorrebbero trattamenti che costano soldi che io non ho. Sono rosse e io ho la pelle sottile e pallidissima. Si vedono le vene sotto.
Ho visto i seni troppo piccoli, sproporzionati rispetto al resto. Sembrano vuoti. Ho visto un brufolo sul mento e uno vecchio, sulla fronte e anche le occhiaie e la pelle grigia e i capelli sporchi.
E mi sono messa a piangere e mi sono vergognata, da morire. Mi sono sentita un verme. Mi sento un verme. E mi faccio ribrezzo.
Un inutile, insignificante, incapace verme.