Le cose che vorrei fare

​Andare al Mercato Centrale, comprare troppo cibo e mangiarlo comunque tutto.

Andare a vedere la mostra di Hopper.
Girare per il Cimitero Monumentale con la reflex.
Passeggiare sul lungotevere di pomeriggio.
Andare al mare.
Stare a letto mentre fuori piove.
Andare al cinema e dopo parlare tre ore del film mangiando patatine.
Andare in giro a caso, cercando la luce bella.
Ascoltare la musica sul divano.
Guardare il posticipo di campionato, mangiando la pizza dal cartone.
Svegliarsi presto per andare a guardare l’alba sulla spiaggia.
Giocare a pallone in un parcheggio vuoto e ridere perché non son capace.
Girare in moto quando fa freddo, ma c’è il sole.
Cantare in macchina.
Partire anche solo due giorni.
Andare a mangiare il sushi perché è buono, ma poi pensare che comunque la pizza è meglio.
Arrostire le salsicce la domenica a pranzo.
Lasciare un bigliettino.
Andare a sentire musica dal vivo e poi uscire a fumare una sigaretta.
Comprare cose inutili e ridicole.
Passare la giornata a guardare serie tv.
Chiedere cosiglio per scegliere un vestito.
Riempire la vasca di schiuma e acqua bollente e stare a mollo con un bicchiere di vino rosso.
Fare una lista di cose da fare.

Sparire

Sabato mattina, prima del primo caffè.

Spunte blu su WhatsApp. Nessuna risposta. Ancora.

L’invisibilità.

La sparizione come arma per combatterla. D’altra parte sparire resta il miglior modo per farsi cercare.

Oggi voglio stare da sola, non voglio essere cercata.

Tu vuoi essere cercata e pensi che l’unico modo ormai per valutare se l’Altro abbia avuto davvero un Pensierodite sia fare in modo che non gli venga in mente di scriverti dopo averti visto Online, postato qualcosa su Facebook, caricato una foto su Instagram.

Ma sparire per essere cercati non è sparire.

La conferma di lettura dalla quale ci facciamo tanto rovinare la vita è niente altro che l’AR7090 di chi vorrebbe sparire, ma non ha ancora capito che la guerra con le armi non ha mai funzionato e mai funzionerà.

L’indifferenza non rappresenta più il maggior disprezzo come dice Nonna, perché l’indifferenza non esiste e non esisterà più.

Online 1 Indifferenza 0. Questa è la verità.

Una vittoria schiacciante che qualcuno potrebbe provare a mettere in discussione, ma.

Se lo blocchi non ti è indifferente. Se cancelli il numero non ti è indifferente.

Stai a bara’.

È un desiderio che deve essere legato in qualche modo alla possibilità che ormai abbiamo di far sapere qualunque cosa ci riguardi.

Ma chi sparisce davvero non sparisce per essere cercato. È questo il grande paradosso.

Chi sparisce per davvero non crede di voler tornare. Chi sparisce per davvero non lascia tracce di sé. Non avverte, non minaccia, ti svegli un giorno e non c’è più.

Hai presente Gone Girl? Quella fa uno scherzetto al marito il giorno del loro anniversario e sparisce assicurandosi di avergli lasciato dosi di “tirovinolavita” a sufficienza fino al suo ritorno.

Sparire è un lavoro meticoloso, di precisione. Alla fine davvero è un po’ come morire.

Come sparirei se non volessi essere cercata? Lo farei?

C’è il suicidio.

Clinicamente, il suicidio, non è sparire. Tutt’altro: clinicamente è un atto di aggressività. Un voler rimanere pur non essendoci. Sparire davvero è il vero suicidio.

Che non credo sia necessariamente suicidio fisico. Hai presente il Fu Mattia Pascal? Si può uccidere una persona senza uccidere il corpo.

Esattamente.

Sarà per questo che sparire è un gesto estremo; sparire meticolosamente, sparire senza lasciar traccia, sparire fisicamente e non solo disattivando un account. È per questo che ci attira così tanto?

I social sono la parte più “vera” di molti, dal punto di vista dell’esporsi emotivamente. Perché, fino ad un certo punto, ci proteggono.

L’indifferenza è sempre il maggior disprezzo quando è vera. Però i social spostano il punto. Se aggiungi un nuovo piano della realtà alla realtà, anche i sentimenti diventano doppi.

Poi mi dirai che i social non sono veri quanto la vita vera.

I social non sono la realtà perché ci inducono a fare valutazioni con meccanismi differenti, dei quali non siamo fino in fondo provvisti. È come se volessimo ascoltare con gli occhi e guardare con le orecchie.

Io tra social e realtà ci vedo la differenza simile a quella che c’è tra scritto e orale.

È il tempo di reazione che fa la differenza; la possibilità di poter riflettere sul significato di quello che noi e gli altri diciamo/scriviamo.

Perché in quel tempo ognuno ci mette quel che vuole, in base alla propria necessità di trovare un senso.

È e rimarrà una dispercezione perché tutto diventa oggetto di troppe interpretazioni.

Il social è un mezzo di comunicazione che viola quasi tutti i principi della comunicazione così come questa è stata categorizzata dagli studiosi di Palo Alto. Viola tutti gli assiomi, tranne uno: non si può non comunicare.

Ma si pone un problema. Si è creata una dimensione di mezzo nella comunicazione e questo fa sì che si crei una dimensione di mezzo anche per la vita interiore della persona. Il mezzo è il messaggio.

E allora ha senso il fatto che sparire non sia proprio sparire.

Si tratta di una temporanea sospensione di un livello di realtà. Su cui comunque investiamo gran parte della nostra vita interiore. Perché nella realtà la vita interiore va troppo veloce, sui social abbiamo una falsa percezione di controllo.

Ma allora il punto è: esiste sparizione vera?

Mattia Pascal sparisce e non per essere cercato. Amy di Gone Girl pure. Tuttavia il loro stesso esistere  ne nega la sparizione. E infatti entrambi,alla fine, sono costretti a tornare alla realtà.

Forse, sparisce davvero chi non sparisce da qualcuno o da qualcosa, ma da se stesso.

Forse meriteremmo tutti di poter sparire.

Forse è un istinto primordiale, che appartiene a tutti noi e che oggi ci illudiamo di poter saziare disattivando un social.

Allora può darsi che non esista in ogni caso la sparizione completa. Il massimo a cui possiamo ambire è una temporanea sospensione della realtà. Ed il modo più facile per ottenerla è chiudere i social.

Che però non sono la realtà. È un paradosso.

Ma sono un surrogato della realtà.

E quindi chiudere il social è un surrogato della sparizione.

Ma quindi ti ha cercato?

No, però ha messo un cuore all’ultima foto su Instagram.

Metto su il caffè.

 

 

Delirio

Facciamo finta che sia la febbre a parlare. La febbre e la tachipirina . 

Facciamo finta che mi leggerai.

Facciamo finta che ti dico che ho avuto il coraggio di dire che due ore non bastano, che ho dato talmente tanto che indossare i panni dell’ altra proprio non mi va. Facciamo finta che, mentre lo dicevo, un po’ ti ho pensato.

Facciamo finta che io ammetta di esserci cascata di nuovo. Fingiamo che io ammetta di aver apprezzato il modo di guardare le cose prima degli occhi che le guardano, la voce prima delle parole, l’ impronta prima della presenza.

Facciamo finta.

Facciamo finta che tu non mi prenda per pazza per tutta questa follia che ho messo in scena nel mio cervello. Oppure che tu mi prenda per pazza, ma una pazza simpatica e pure un po’ carina.

Facciamo finta che io non sia invisibile e tu non abbia la testa altrove. Facciamo finta che io mi faccio coraggio e tu pure. Facciamo finta che tu possa essere una buona ragione ed io quantomeno una circostanza abbastanza curiosa da valere un tentativo.

Facciamo finta.

Facciamo finta che ti dica che mi fai incazzare perché tu parli e chiedi e io risponderei “presente”. Ma anche urlandolo forte, non mi sentiresti. Facciamo finta che quando parli e chiedi io non possa fare a meno di pensare che potrebbe perfino funzionare.

Facciamo finta che alla fine ce la facciamo e ci divertiamo pure. Facciamo finta che ti venga addirittura in mente che si potrebbe ripetere l’ esperienza. Ecco, io riguardo a questo non credo di dover far finta. Sono brava a capire cosa voglio e chi voglio e difficilmente cambio idea. E sono testarda.

Facciamo finta che mi sia bastata una canzone, una fotografia, la forma delle rughe intorno agli occhi per farmi un’ idea di te. Ed è una bella idea.

 Facciamo finta che domattina passa la febbre e arrivi tu. 

Facciamo finta che sia colpa della febbre e  che io non debba vergognarmi un bel po’ del mio cervello che va troppo veloce e della mia bocca che parla a vanvera.

Facciamo finta che sia la febbre.